Darkside, gli hacker “Robin Hood”

E’ innegbile che coloro che rubano o truffano in criptovalute siano dei delinquenti da perseguire: appare perlomeno curioso però che un gruppo di questi chiamato “DarkSide” agisca come il buon vecchio Robin Hood, regalando parte dei proventi dei loro furti a due associazioni no profit.

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Rubare ai ricchi e dare (qualcosa) ai poveri

Sembra di essere un film ma è tutto vero, come racconta la BBC, che sottolinea come questo gruppo abbia donato 0,88 BTC, corrispondenti a circa 10.000 dollari, a Children International e Water Project, due associazioni. La prima, che dà assistenza a bambini e famiglie in diverse parti del mondo ha reso noto che se frutto di un furto non accetterà la donazione: la seconda, che invece lavora per portare l’acqua nei paesi sub sahariani ancora non ha commentato.

Da quel che è stato possibile ricostruire, la donazione alle due associazioni sarebbe stata eseguita attraverso la piattaforma “The Giving Block”, nata proprio per rendere più semplici le donazioni in criptovalute: affidabile viene utilizzata anche da Save The Children.

DarkSide si vanta sul web di aver carpito milioni di dollari alle compagnie più fortunate grazie a virus ransomware: il suo fare beneficenza di certo ha stupito un po’ tutti, sebbene non cancelli il fatto che si tratti di denaro proveniente da un illecito.

Ecco come si presenta DarkSide al pubblico

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Per comprendere il gesto forse si reputa necessario prendere in considerazione quella che è la storia di DarkSide come gruppo criminale. Si tratta di un’entità di recente presentazione al pubblico: le prime tracce della sua presenza sono riconducibili all’agosto del 2020 quando hanno iniziato a bloccare i dispositivi di alcune compagnie chiedendo riscatti tra i 200mila e i 2 milioni di dollari in Bitcoin. Si sono definiti in questo modo in rete:

Un prodotto nuovo sul mercato, ma questo non vuol dire che non abbiamo esperienza. Abbiamo ricevuto milioni di dollari collaborando con altri conosciuti cryptolockers. Abbiamo creato DarkSide perché non abbiamo trovato il prodotto migliore per noi. Ora lo abbiamo”.

Avevano specificato inoltre, fin da subito, che non avrebbero attaccato settori inerenti medicina, educazione, no profit e governi ma solo “compagnie che possono pagare la somma richiesta” perché non intenzionati a far fallire nessuno. Sembrano quasi essere “etici” nel loro attaccare, analizzando la situazione economica delle vittime prima del pagamento, garantendo addirittura una assistenza post attacco. In caso di mancato pagamento renderanno noti i dati sottratti coinvolgendo i partner degli attaccati.

Ecco quindi che bisogna porsi una domanda: beneficenza sì, ma a quale prezzo? In fin dei conti i soldi sono comunque estorti.

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